venerdì 26 febbraio 2010

Due destini

"She was the one to hold me the night the sky fell down"... Avevo 18 anni, ero convinta che sarei rimasta tutta la vita con la persona di cui mi ero perdutamente innamorata e con cui sono stata tre anni e mezzo, che non esistesse vita senza di lui nè senza la mia giovane speranza che tutto sarebbe andato bene, perchè la vita era una merda, comunque, e dovevo ancora capire che vale sempre la pena viverla.

Quando riguardo quei momenti nella mia testa, sono intenerita e triste.
Quant'è bella giovinezza, che si fugge tuttavia!

Sono poi arrivati il primo lavoro, la mia forza di volontà nel finire - e bene - l'università che stavo per abbandonare, un'altra e diversa storia d'amore folle che ti lascia le cicatrici e ti fa scrivere senza punteggiatura e ti rivolta lo stomaco quando pensi a come nel vuoto tutto sia caduto e a come da qualche parte nell'atmosfera una traccia di tutti quei baci e quel sudore e quei respiri bocca a bocca debba ancora esserci per quanto lui possa negarlo e lei possa goderne.
Nessuno può strapparti i ricordi e i respiri dal cuore.
Passi lunghi mesi ad ascoltare un ragazzo davvero sexy affermare gorgheggiando che "what goes around comes around" e speri che sia vero, perchè chi la fa l'aspetti.
Passi l'inferno che hai fatto passare all'altro ma non ti sembra comunque giusto.
Time is ticking and we can't go back, my oh my...

Riguardando questi momenti, mi rendo conto che questo è stato il passaggio, la fine della mia adolescenza, per entrare nell'età adulta dove tutto è posato, ponderato, responsabile, adulto, chiunque è pieno di aspettative di adultità e tu devi farti la lavatrice, la cena, le pulizie da sola, in sostanza.

Dopo per me c'era solo lo schifo il buio la morte le spade che mi trafiggevano e di nuovo la scrittura senza punti nè virgole, ma sempre con gli accenti e gli apostrofi al loro posto.
Tra virgole, punti e pensieri un lago di cioccolato nel quale mi sono buttata senza pensarci un momento, una dimensione parallela dove il tempo scorre più in fretta perchè tre mesi appaiono tre anni, dove pensavo di essere di nuovo bimba ma anche selvaggia e splendida, distrutto e prosciugato da un raggio di sole che mi ha abbagliata.

Ripensando a quel raggio di sole ho ancora paura.

Just have a little patience...

Oggi sto arredando casa.
La donna che arreda casa sua non è più la ragazza che cantava, nè la ragazza che sospirava, nè la ragazza abbagliata e selvaggia.
Mi spiace che il mio destino possa godere di una versione così noiosa e de-emozionata di me, ma quel raggio abbagliante, quelle spade trafiggenti e la fine del primo amore mi hanno reso cinica e impaurita.

giovedì 25 febbraio 2010

Mi è passato il sonno...

...e mi sono venuti in mente mille pensieri.

Ultimamente sono sulle montagne russe dell'umore: un momento gioisco dell'opportunità di aiutare davvero le persone con il mio lavoro, il momento successivo mi prende il panico su cosa ne sarà del mio futuro economico, e qui entra in gioco l'orgoglio di non farmi mai mantenere dando un contributo almeno della metà alla gestione familiare.

Penso a chi è insensibile e piuttosto stronzetto e piuttosto consapevole nel mettermi i bastoni tra le ruote per emergere, senza sapere che nessuno lo noterà mai, e penso che adesso non me ne starò zitta e buona in virtù del fatto che sono l'ultima arrivata e ho rispetto per chi ha esperienza, perchè l'ultima arrivata non coincide necessariamente con la cogliona che continua a farsi inculare dopo essersi resa conto che la stanno inculando.

Vado continuamente su e giù e non nel modo che sarebbe preferibile.
Sono stanca.

Farsi rispettare richiede per forza di passare per pignoli e stronzi?
Qui sono in una situazione in cui ho ragione al mille per cento, ma le consuetudini tollerate abbassano la mia percentuale al cinquanta. E i capi non intervengono, ma tollerano, giustificano.

Posso farmi rovinare tutte le giornate da una collega malata di manie di protagonismo che, ignorando bellamente ciò che l'azienda le richiede, si mangia il mio stipendio per poter dire al capo "sono stata brava, ho chiuso tanti contratti"?

martedì 16 febbraio 2010

Tifo per Pacey

Quanto segue mi consola. Pensavo di non avere più un cuore, o che fosse diventato insensibile.

Invece ho appena finito di rivedere la terza stagione di Dawson's Creek e mi sono sentita emozionata e commossa, con gli stessi occhi di quando avevo dieci anni di meno ed era una prima visione tv che aspettavo con ansia.

Dawson's Creek è solo una manifestazione dell'eterno dilemma: l'amore. Quello che a sedici anni non sai cos'è ma ti sembra di non poterne fare a meno, devi parlarne, devi eviscerarne ogni elemento e puoi viverlo senza complicazioni, anche se a te, a sedici anni, le complicazioni che incontri sembrano enormi.

La nascita dell'amore tra Joey e Pacey, nonostante le violenze psicologiche nemmeno troppo sottili di Dawson e le indecisioni fastidiosissime di Joey, è resa in un modo che trascende il trascorrere del tempo e potrebbe essere uguale anche oggi, dopo un decennio, con Internet, Facebook e Twitter. Alla fine trionfa, alla fine trionferà.

Ci vedo della poesia.

lunedì 15 febbraio 2010

Ci vorrebbe un amico? No, una diciottenne

Venditti cantava "ci vorrebbe un amico, per poterti dimenticare; ci vorrebbe un amico per dimenticare il male".
Di questi tempi, credo che la tendenza sia quella di cercare, più che un amico, una bella diciottenne - o giù di lì - e sentirsi nuovamente giovani e desiderati, sempre che sia il desiderio il motivo per cui una bella diciottenne si accoppia con un uomo molto più grande.
Preciso che non sto generalizzando ma mi limito a commentare quelle situazioni in cui l'uomo, finita una storia difficile, lo ritrovi dopo qualche mese con una squinzia più giovane. E, questa sì, è una tendenza puntualmente osservata.

venerdì 12 febbraio 2010

Cose preziose

Alcune cose preziose non andrebbero mai perse. Si dovrebbe ritrovarle, magari sforzandosi di riportare se stessi a uno sguardo obiettivo.

lunedì 8 febbraio 2010

Paura

Il mondo qui fuori, qui fuori dal mio bozzolo caldo e accogliente, dove nessuno sa che esisto se non lo voglio io, quel mondo, con tutte le schifezze che succedono, mi fa una paura fottuta.

domenica 7 febbraio 2010

"Non siamo padroni della nostra vita"

dice Benedetto XVI appollaiato sul davanzale della finestra, rivolto a una folla di fedeli che inneggiano alla vita.

Molto bene.

Non siamo padroni della nostra vita!? Ma che insegnamento è? Il catechismo ci insegna che dobbiamo metterla al servizio di Dio, all'incirca, se non ricordo male.
Ma il catechismo è comunque espressione di ciò che la Chiesa vuole che venga detto, dell'indottrinamento. É un'interpretazione e purtroppo pochissimi, tra quelli che credono e praticano, se ne rendono conto.

Pochissimi capiscono cosa significa che un testo è "aperto", semioticamente parlando; non si pongono il problema, non sanno che questa possibilità esiste, dunque quando sentono dire "è scritto nella Bibbia" non si fanno ulteriori domande.

Purtroppo è difficile infinocchiare con questa robetta retorica chi ha un'istruzione superiore e, oserei dire, chi ha studiato semiotica, la scienza del segno e della sua interpretazione.
Per la semiotica, tutto è testo, dunque tutto è intepretabile - è ciò che la psicologia dice in altre parole, cioè che ogni persona reagisce diversamente a situazioni-tipo perchè ogni persona percepisce diversamente tali situazioni.
Non esiste una ragione, non esiste un torto, non esiste un'intepretazione giusta più di altre, ma esistono le interpretazioni sbagliate, che Eco chiama "abusi". Ogni testo pone i confini di se stesso: all'interno di tali confini, sei libero di interpretare; se ne esci, stai violentando il testo, cercando di adattarlo a ciò che vuoi dire.

Ecco, che la Chiesa oggi si permetta di contrastare la medicina, incitando alla diffusione di malattie piuttosto che alla loro prevenzione, in nome di chissà quale riga della Bibbia, ecco: questo mi fa incazzare.
Rispetto chi crede in questo modo così profondo e totale, ma credo che non sia più possibile, nel 2010, sottomettersi a certi principi senza farsi e fare davvero del male.

Cosa credo? Credo di essere una persona buona, che cerca di non fare male a nessuno, che non vuole imporre i propri principi ma vive nella tolleranza, che prova sempre a superare i propri limiti. E credo anche che Dio mi ami, perchè sono una brava persona, e che non abbia smesso di farlo perchè ho fatto sesso, perchè mi sono protetta da gravidanze indesiderate, perchè credo nella libertà di ognuno di fare della propria vita ciò che vuole.

Se qualcuno crede che, invece, io viva nel peccato e che, per questo, Dio mi ami di meno, si faccia avanti.
Riprendiamo le nostre vite in mano!

giovedì 4 febbraio 2010

La gioventù nel 2010

Ecco in arrivo il tipico discorso bigotto e antico "ai miei tempi non era così". O forse no? Vediamo...
 
Prendo il 19 e scendo in piazza Bracci, vengo investita da una folla di studenti che non si vede l'orizzonte sopra le loro teste - e questo significa solo che io sono, come sono sempre stata, più bassa della media.
 
Le ragazze, con varietà d'abbigliamento che possono piacere o meno, cercano però di personalizzare con tocchi di colore e dettagli; sono i ragazzi che mi hanno letteralmente sconvolta!
 
Ho pensato «qualcosa, negli ultimi dieci anni, ha iniziato a girare al contrario».
 
Nel 2000 d.C., nel pieno dell'era paleo-qualcosa (così sembra, a riguardarsi indietro e a pensare che sono già passati dieci anni), i ragazzi erano una massa informe di jeans e magliette. Non così male.
Preferisco, in linea di principio, quanto succede adesso: ragazzi che curano i dettagli anche in modo un po' femminile.
 
Ma non posso sopportare:
  • frangiona alla "sgnoccola della casa del grande fratello" (ricordo che parliamo di maschietti) ingellata e immobile, con ciuffi ordinatamente spettinati sulla sommità della testolina; il tutto accompagnato da un ebete sguardo alla "Edward Cullen wannabe" che non ti riesce, perchè non sei Robert Pattinson!
  • pantaloni con il cavallo basso, ok; culi di fuori, per carità, no!
  • regolari sputi per terra, chissà cosa stavi masticando ma non lo voglio sapere;
  • bestemmie, perchè fa più figo che dire "cazzo-figa-porca-puttana-stronza", e se non sei il più volgare di tutti non sei il più figo di tutti. Se non sei profondamente razzista, poi, sei troppo un loser! Quando passa il marocchino devi borbottare tra te e te, o sussurrare all'orecchio dell'amico "che brut quel, ne**o di me**a".
Sembrano i tronisti, questi ragazzotti che mi hanno sommersa oggi... e non so se proprio li invidio: hanno una consapevolezza, riguardo all'apparenza che domina la nostra società, che io alla loro età non avevo per niente e vivevo, (pseudo)serena, delle mie passioni adolescenziali nelle mie maniche che nascondevano le mani.
 
p.s. A chi vede in tutto ciò un'invidia della giovane età, vorrei ricordare che a Los Angeles, non più tardi di tre mesi fa, mi hanno chiesto i documenti prima di servirmi una birra. ;-)
p.p.s. So che questo dei documenti è diventato uno dei miei monotemi, ma mi rende molto fiera, quindi va bene.

martedì 2 febbraio 2010

Parole sante!

Il blog di Michele Smargiassi, che ho scoperto oggi sul sito di Repubblica, mi dà uno spunto di riflessione sul mio lavoro. Scrive Smargiassi, a proposito dei controllori di Trenitalia:
 
Ma ho sempre fatto in modo di non prendermela con la persona del ferroviere, comprendendo benissimo che questa categoria di lavoratori si trova costretta fra l'incudine e il martello: rappresenta l'azienda (e non può farne a meno, portandone il nome cucito sul petto della giacca) ed è ormai l'unico a farlo frontalmente nei confronti di una clientela sempre più esasperata: gli uffici informazioni e reclami stanno chiudendo uno a uno ed è sempre più difficile parlare con esseri umani quando ci si rivolge a Trenitalia. Restano solo loro, che a volte (intuisco) vorrebbero dire cose diverse da quelle che sono tenuti a dire.
 
Smargiassi, (forse) senza saperlo, ha colto precisamente il sentimento di molti, moltissimi assicuratori come me.
Rappresentanti di una compagnia che, in quanto tale, è una vera e propria azienda con obiettivi economici in base ai quali stabilisce il prezzo dei propri prodotti/servizi; e interfaccia con i clienti, che percepiscono invece l'assicurazione come una tassa e il servizio assicurativo come un servizio pubblico - cosa che non è.
Lungi da me la difesa della compagnia, devo tuttavia ammettere anch'io che non andrei mai in un negozio privato ad accusare il commerciante di aver alzato i prezzi, nè lo insulterei per questo. Se vuoi il mio vestito, paghi il mio prezzo; altrimenti, è così facile entrare in un altro negozio!
Il mio mestiere, a volte, è irto di difficoltà.

lunedì 1 febbraio 2010

Mediocrità

Certi meccanismi del mondo del lavoro mi fanno sentire così mediocre... molte persone che conosco trovano lavoro, allora credo abbiano qualcosa di speciale! Io sto facendo la gavetta, ho quattro anni di lavoro alle spalle, eppure non ho esperienza sufficiente per risultare interessante nel mio settore. Cosa mi manca? Cosa ho studiato a fare?

Riderci su?

Siccome in quest'ultimo periodo della mia vita sto provando a prendermi meno sul serio, tentando ad esempio di partecipare a discorsi maschili su rutti e flatulenze, mi fa sorridere un articolo del Corriere.it di oggi, che titola "La Bruni offesa non va a Sanremo" e prosegue in sommario "Veto dell'Eliseo per un brano in gara che sbeffeggia Sarkozy".
La colpa è tutta di Simone Cristicchi, che nel brano "Meno male" recita "Ma meno male che c'è Carla Bruni. Siamo fatti così, Sarkonò, Sarkosi... se si parla di te il problema non c'è".
Che l'Eliseo sprechi tempo a porre veti di questo spessore non è affar mio ma dei francesi; che ci si offenda per una frase che non è offensiva nè calunniatoria ma ironica - come nel tipico stile cui Cristicchi ci ha abituati - mi pare espressione inequivocabile di un eccessivo prendersi sul serio... quanto sarebbe più classy una premiere dame che si presenta lo stesso a fare quello che deve, cioè cantare?

Be stupid

Segnalo un'analisi critica e interessante della campagna stampa di Diesel, sul blog della mia ex professoressa di Semiotica Giovanna Cosenza: cliccate qui.